Un pomeriggio non come tanti

coronavirusdi Nino Mallamaci* - Ieri alle 17 e 30, uscito dal lavoro, sono andato al bar a prendere il mio solito biscottino col solito decaffeinato, abbinati a un enorme bicchiere d'acqua: bisogna berne due litri al giorno, e io mi aiuto così, nei bar che frequento abitualmente. Sono stato servito al tavolo, vigente il divieto di avvicinarsi al banco. Dopo sono andato in farmacia, come tutti i vecchietti. Non ho misurato la pressione per non stare troppo dentro. A differenza di sempre, non mi sono intrattenuto a ridere e scherzare col titolare, che chiamo professore per ricambiare il suo "maestro", con il ragazzo elegantissimo che collabora nella gestione della farmacia, con la sorella del professore, con l'altra bellissima collaboratrice. Sono entrato, e dopo 1 minuto ero già fuori.

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Triste confuso preoccupato.

Mia figlia è a Milano, povero me, e mi manca come l'aria. Ma giustamente, dandomi una lezione di civismo come poche, non ha ceduto alle mie pressioni per farla rientrare prima scoppiasse il casino. Mia madre non la vedo da 10 giorni, se non per un fugace bacio sulla fronte datole domenica mattina mentre, sul tardi, ancora dormiva. Era bel tempo, ieri. Un cielo azzurro e una temperatura mite che in altre occasioni avrei considerato in maniera molto negativa, per via degli stravolgimenti climatici, ma che ieri mi ha invogliato a fare una passeggiata in via marina. In macchina, prima. Dopo a piedi, ricacciando in un angolo del cervello le raccomandazioni di mia figlia. "Papà, non uscire! Se muori m'incazzo!" E' stato il suo modo per esprimere il suo amore filiale, qualche giorno fa. Mi sono incamminato, a testa china, tra persone che si scansavano l'un l'altra, alcune munite di mascherina. Ho girato due video, le spalle allo spettacolo dello Stretto. Uno per mia figlia, e uno per la mia famiglia. In entrambi ho salutato e, nel secondo vincendo la ritrosia nel manifestare i sentimenti, detto che voglio bene a tutti loro. A dire il vero, per la mia picciridha ho utilizzato il termine amore come faccio sempre. Ho incontrato qualche amico, salutandolo a debita distanza, e una coppia di ex cugini che mi avrebbe fatto piacere abbracciare e baciare come sempre abbiamo fatto.

Ma ieri non si poteva.

Sono tornato in macchina, e sfruculiando nella pennetta ho trovato delle tarantelle suonate con la ciaramedha che avevo registrato da poco. Quel suono mi ha tirato su il morale, anche se il messaggio di mia figlia, mi manchi tanto papo, non aiutava molto. Ho parcheggiato vicino casa, e passando davanti alla finestra dei vicini ho chiamato per salutare. Ci siamo parlati cordialmente, ma più cordialmente delle altre volte. Come gli altri dialoghi, anche questo si è chiuso con un "Speriamo bene" accompagnato da un sorriso mesto. Sono entrato in casa, e prima di mettermi a piegare la biancheria lavata ho voluto attrezzare il portatile con due casse rintracciate in fondo a un cassetto per ascoltare ancora le tarantelle, ma ad alto volume. Mi sono messo a ballare, e ho girato un video che ho mandato a mia figlia e alla mia famiglia. Poi ho videochiamato mia mamma, mia figlia, e, in videoconferenza, mia sorella, le mie nipoti, mio fratello, le mie cognate. A tre alla volta, tutti insieme a cazzeggiare, a guardare la mia pronipote dalle guanciotte rosse mangiare gustosamente la sua pappa. Dopo ho guardato la partita e sono andato a dormire. E l'ho fatto, per tutta la notte, senza sognare nulla.

*Avvocato e scrittore