Filianoti, i Lavilla e gli "omissis". Nel processo "Archi-Astrea" i riferimenti all'omicidio del febbraio 2008

filianoti ritagliodi Claudio Cordova - La notizia la fanno sempre più spesso gli "omissis". Segnale tangibile della presenza di indagini in corso su cui, ovviamente, è impossibile fare comunicazioni. Ma la deposizione in aula di Walter Filianoti nel procedimento "Archi-Astrea" apre, comunque, ulteriori scenari. Filianoti, infatti, è stato citato dall'avvocato Lorenzo Gatto, difensore dell'imputato Antonio Lavilla, finito nelle triangolazioni societarie che hanno portato la società mista del Comune, Multiservizi, nelle mani della cosca Tegano.

Walter Filianoti è figlio di Giovanni Filianoti, agente generale della INA Assitalia, assassinato l'1 febbraio 2008. Uno dei delitti più oscuri degli ultimi anni su cui la Dda di Reggio Calabria sta provando a vederci chiaro, analizzando gli affari di Filianoti, che si intreccerebbero con altre vicende al vaglio degli inquirenti. Walter Filianoti ha riferito dunque sui rapporti con la famiglia Lavilla, titolare di una ditta di costruzioni. Rapporti duraturi, quelli tra Giovanni Filianoti e i Lavilla, come testimoniato da alcune foto del 1985 proposte al Tribunale dall'avvocato Lorenzo Gatto, che le avrebbe estratte dall'album di famiglia dei propri assistiti. Rapporti che Walter Filianoti ha inizialmente "derubricato" a meri contatti lavorativi, ma che poi ha invece definito "di conoscenza" e, nel caso di Maurizio Lavilla, "di lontana parentela". Un rapporto che, di fatto, avrebbe portato i Filianoti a rivolgersi quasi sempre ai Lavilla per i propri lavori di ristrutturazione.

Un interrogatorio in aula, quello di Filianoti, che si è incastrato tra le deposizioni dei militari della Guardia di Finanza che hanno svolto gli accertamenti su Multiservizi e che è stato richiesto dall'avvocato Gatto sulla scorta del verbale firmato da Filianoti il 20 maggio 2011 al cospetto della Dda di Reggio Calabria. "Ha pensato che i Lavilla fossero coinvolti nell'omicidio di suo padre?" chiederà l'avvocato. Ma proprio quando il legale porrà la domanda specifica sul delitto del padre, sarà lo stesso pm Giuseppe Lombardo a chiedere al Collegio di non ammettere la domanda. Gli "omissis" contenuti nel verbale, infatti, dovrebbero celare proprio i passaggi in cui Walter Filianoti avrebbe riferito circa le proprie impressioni o conoscenze sulle dinamiche che avrebbero potuto portare all'eliminazione del padre.

Le vicende trattate in aule sono quelle che ruotano attorno alla minaccia ricevuta da Walter Filianoti, che ritroverà una bottiglia di liquido infiammabile proprio davanti all'ingresso del proprio garage, nel pieno centro cittadino. Una vicenda che, almeno secondo l'ipotesi accusatoria, potrebbe inquadrarsi come "punizione" per un affare cui i figli di Filianoti sarebbero subentrati dopo la morte del padre. Un terreno, nella zona di Pentimele, per il cui acquisto Giovanni Filianoti si era interessato tramite la Gi.Mi., la società immobiliare costituita con l'ingegnere Michelangelo Tibaldi, uno dei personaggi più vicini a Filianoti. Ma da quell'esperimento immobiliare, i figli dell'assicuratore si sarebbero voluti tirare fuori, incontrando in primis le resistenze dell'imprenditore Leone, coinvolto nell'affare. Resistenze che, a detta di Walter Filianoti, sarebbero state risolte tramite l'intervento dell'avvocato di fiducia, che, riscontrando una serie di irregolarità nel contratto, sarebbe riuscito a recuperare la caparra, con tanto di interessi e di pagamento delle spese legali: "Sono rimasto sorpreso da questo risultato" dice Filianoti. All'inizio, infatti, la famiglia Filianoti avrebbe cercato, anche tramite Tibaldi, dei soci per concludere l'affare, salvo poi doversi arrendere e cercare la via del recesso.  Secondo l'idea dell'accusa, invece, di mezzo sarebbero potuti entrare altri interessi, più oscuri. Ingerenze che l'avvocato Gatto chiama "soffio della 'ndrangheta" e che il pm Giuseppe Lombardo, titolare del procedimento, corregge in "il respiro della 'ndrangheta".

Dopo la risoluzione della controversia, infatti, Filianoti sarebbe stato avvicinato da uno dei Lavilla, che gli avrebbe prospettato il dovere di fare un "regalo" ad alcuni "amici" che si sarebbero interessati affinché i Filianoti non ci rimettessero neanche un quattrino. E se secondo il pm Lombardo, quegli "amici" potrebbero essere degli esponenti di spicco della 'ndrangheta di Archi (Antonio Lavilla è il genero del superboss Giovanni Tegano), Walter Filianoti nega, senza fornire particolari versioni alternative, di aver inteso che di mezzo potesse esserci la 'ndrangheta. Sul tema, dunque, Filianoti è evasivo, non considerando tale ipotesi: "Dopo quello che ci è successo non è facile capire o dare alcuna spiegazione".

Con i Lavilla, peraltro, i Filianoti avrebbero portato avanti un rapporto che li avrebbe spinti a rivolgersi quasi sempre per i lavori di ristrutturazione. Tranne per i lavori nell'attico di Pentimele, su cui, a dire di Filianoti, i Lavilla avrebbero presentato un preventivo di quaranta o cinquantamila euro superiore rispetto a quello presentato da altre ditte. Ditte di cui i Lavilla avrebbero voluto avere il nome che però Filianoti non avrebbe divulgato. Proprio nel periodo in cui Lavilla avrebbe fatto riferimento agli "amici" da ringraziare, si inquadrerebbe dunque il ritrovamento della bottiglia con il liquido infiammabile. Un episodio che finirà anche sulla stampa locale e su cui Lavilla avvicinerà Filianoti: "Mi disse che avrei dovuto parlarne con lui". Forse anche in quel caso Lavilla si sarebbe interessato alla vicenda in nome degli "amici". Amici normali, secondo la difesa, "amici di 'ndrangheta" secondo l'accusa: "Non ho mai pensato che la parentela tra i Lavilla e i Tegano potesse essere un problema" dirà infine Filianoti.