Madonna della Consolazione, la festa “senza popolo” del 1743

"Cu terremoti, cu guerra e cu paci sta festa si fici e sta festa si faci". Con questa espressione il grande poeta reggino Ciccio Errigo celebrava la Festa in onore della Madonna della Consolazione ritenendola un momento ineludibile della vita reggina. Eppure – scrive Giuseppe Diaco, responsabile filatelia dell'Associazione Culturale Anassilaos e cultore di storia - vi è stato un momento nel passato in cui questa festa, come scrisse Mons. Antonio Maria De Lorenzo, fu celebrata "senza popolo". A partire dall' estate del 1743 e almeno fino all'ottobre 1745 infatti una epidemia di peste, partita come sempre dalla vicina Messina, che era un porto internazionale, a causa dei piccoli scambi commerciali tra le due città che, per quanto proibiti dalla autorità reggine, proseguivano illegalmente, si manifestò a Reggio Calabria il 17 luglio 1743 con un primo caso accertato. Per quanto – scrive ancora Diaco - essa non abbia molto a vedere con l'epidemia di covid, giova comunque rileggere le pagine che ad essa dedica lo Spanò Bolani, nella sua "Storia di Reggio Calabria" per cogliere, accanto alle differenze, anche delle somiglianze soprattutto sul piano dei comportamenti delle gente e della autorità. In quella circostanza la città intera fu circondata da un cordone sanitario e posta in quarantena. A nessuno dei cittadini era consentito di uscire di casa. Le ordinanze furono imposte con la forza e con quella brutalità dovuta ai tempi che prevedeva anche la morte per i trasgressori, molti dei quali furono passati per le armi. In fretta e furia fu allestito un lazzaretto dove i contagiati venivano rinchiusi a morire in solitudine, a parte il sacrificio di alcuni padri cappuccini. Anche in tale circostanza i Reggini, alla notizia del morbo che infuriava a Messina, si rivolsero alla Vergine e riportarono il Quadro in Città.

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"La processione (scrive De Lorenzo) fu fatta andare lungo la muraglia del lido, donde scorgevasi l'orrendo fumo che sollevava le cataste dei morti di Messina; e verso la sventurata città sorella venne rivolto per poco il Quadro ....". Lo Spanò-Bolani aggiunge che "...le nobili signore nel primo sabato d'agosto, uno dei sette che soglionsi celebrare in onore della Madonna fecero voto che per anni dieci non dovessero andare vestite d'altri abiti che di lutto , lasciar dovessero tutte la profane gale, tutte le pompe superbe, tutte la vanità della vita. E a conferma di tal voto portarono i più ricchi guardinfanti loro sulla pubblica piazza del Toccogrande....e vi posero il fuoco". La pestilenza coincideva con la Festa di settembre.

"E dee per fermo produrre meraviglia l'udire che immezzo alla stessa pestilenza nel settembre del 1743 non vollesi trascurare la solita festa. Vero è che fu quella una festa novissima cioè senza popolo, che la prudenza ma più le leggi riteneano fra le domestiche mura. Fu messa però pomposamente in addobbo la Cattedrale; il clero vi celebrava i solenni riti, a cui la buona gente univasi in ispirito dalle proprie case. Davano i consueti segni le campane e i mortaretti, e la sera del gran vespro anche le artiglierie...le famiglie ottennero facoltà di spiegare festosi arazzi dalle finestre e dai balconi e porvi la sera gran copia di lumi..." (A.Maria De Lorenzo).

Qualche mese più tardi, il 25 gennaio del 1744, su richiesta dei Padri Cappuccini, il Quadro fu riportato al Santuario "Ottenuta la licenza si fecero consegnare nel Duomo il Quadro che partì accompagnato da solo otto frati e da pochi ecclesiastici consentiti dai rigorosi ordini sanitari. I Sindaci tenevano dietro e un cerchio di soldati serravasi in mezzo a questo squallido corteo per impedire che la gente non irrompesse dalle proprie case per afferrarsi alla Sacra Immagine..." (Giuseppe Sinopoli, La Madonna della Consolazione). Soltanto il 4 ottobre 1745, pur restando in vigore il cordone sanitario esterno alla città sia di mare che di terra, le misure di contenimento interne alla città furono allentate. "Fu solo ai 4 di ottobre 1745 che restituivasi finalmente ai superstiti la libertà di uscire dal domestico carcere e comunicare tra loro". La Festa "senza popolo" imposta oggi dal rischio sanitario – conclude il responsabile di Anassilaos - non è dunque una novità assoluta nella storia di Reggio.